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UN SECOLO CHE HA CAMBIATO LA SCIENZA

Tommaso Castellani

Come è cambiata la scienza di oggi rispetto a quella di un secolo fa? Questa domanda può essere interpretata in vari modi e affrontata da molti punti di vista. Ne vorremmo sviluppare uno prendendo come spunto il bellissimo libro che raccoglie alcuni saggi epistemologici di Poincaré, "Scienza e Metodo", apparso nel 1908 [1].
L'idea di scienza di Poincaré, pur se molto legata alla matematica e alla fisica, ha una certa validità generale. La scienza, per Poincaré, prende l'avvio dalla ricerca di fatti semplici, per i quali sia possibile individuare una legge. La legge rappresenta un importante risultato perché permette di "economizzare pensiero", per usare le parole del filosofo Mach, in quanto contiene in sé i risultati di tutte le future esperienze che descrive, risparmiandoci di rifare ogni volta i calcoli. Dice Poincaré: "il biologo è stato istintivamente indotto a ritenere la cellula più interessante dell'animale intero, e i risultati gli hanno dato ragione, poiché fra le cellule appartenenti ai più diversi animali esistono maggiori somiglianze - per chi le sa riconoscere - che fra gli stessi organismi".
Secondo Poicaré dobbiamo imparare ad apprezzare il fatto che il mondo sia ricco di fatti semplici: in un universo in cui invece di 60 (!) elementi chimici ce ne fossero stati 60 miliardi la chimica non sarebbe stata possibile. Questo ragionamento andrebbe rivoltato, in quanto se la mente umana si è sviluppata in modo da gestire in maniera così efficace le regolarità, al punto da considerarle addirittura "belle", è perché il mondo circostante aveva caratteristiche che rendevano utile questa capacità. In un mondo senza regolarità una mente associativa non serve a nulla ma magari un computer se la cava benissimo.
L'economia del pensiero e la ricerca del fatto semplice viene associata da Poincaré quasi automaticamente alla ricerca del bello: "l'amore del bello ci conduce alle medesime scelte che l'amore dell'utile", dice il matematico francese, trovando giustamente un'armonia profonda nelle leggi semplici. Siamo nel primo decennio del Novecento. Qual è il futuro secondo Poincaré? In teoria, egli afferma, la matematica si potrebbe sviluppare "in tutte le direzioni", ma per fortuna, continua, ciò sarà solo in parte vero. "Se ciò fosse del tutto vero, avremmo motivo di allarmarci. Le nostre ricchezze non tarderebbero a diventare d'ingombro, e a furia di accumularsi formerebbero un guazzabuglio tanto impenetrabile quanto lo era per l'ignorante la verità ancora da scoprire". Questa frase allo scienziato contemporaneo suona come una profezia. Poincaré aveva fiducia nel persistere dell'armonia e nella bellezza delle dimostrazioni matematiche, eppure vedeva la possibilità che continuando a scavare in profondità si sarebbe potuto raggiungere un punto in cui questa bellezza sarebbe venuta meno: "temo che, facendosi più lunghe, le nostre dimostrazioni perdano quell'armoniosità che svolge un ruolo così utile". Si noti che il problema della perdita della bellezza non è puramente estetico, ma è inserito nel contesto dell'economia del pensiero. Eppure l'affermazione più inquietante resta la prima, quella sull'impenetrabilità delle nostre conoscenze, che riportano di fatto l'uomo all'ignoranza. Se pensiamo alla sensazione che la maggior parte di noi prova di fronte a un minuscolo oggetto tecnologico, che compie cose miracolose, immaginiamo che essa non sia molto diversa da quella dell'uomo del passato di fronte a misteriosi fenomeni naturali.
Cosa è successo, dunque, alla scienza nel Novecento?
La ricerca della legge generale rispetto a quella particolare arriva all'estremo nel cosiddetto "ideale riduzionista", il quale conduce infine alla ricerca di una "teoria del tutto" in grado, almeno teoricamente, di spiegare il comportamento dell'intero universo [2]. Allo stesso tempo ogni campo di investigazione produce nuove conoscenze e sviluppa nuovi linguaggi, frammentando lentamente e inesorabilmente la comunità scientifica in migliaia di gruppetti che hanno serie difficoltà a comunicare l'uno con l'altro; la produzione scientifica aumenta di anno in anno e la tecnologia ottiene strepitosi successi. E' evidente il contrasto tra questa ricerca delle leggi fondamentali e generali e lo sviluppo contemporaneo della ricerca di leggi e descrizioni sempre più particolari. E' altrettanto evidente che questo sviluppo decreta in una certa misura il fallimento dell'ideale riduzionista, in quanto i maggiori risultati della scienza si sono ottenuti proprio grazie a questa frammentazione. E' importante distingure tra "ideale riduzionista", cioè il vedere il riduzionismo come conseguenza di una proprietà intrinseca della natura, e riduzionismo inteso semplicemente come metodo di indagine; quest'ultimo è inevitabilmente presente nell'analisi scientifica poiché ne è il cuore stesso [3].
L'ideale riduzionista è oggi ancora presente e talvolta radicato in parti della comunità scientifica, nonostante sia ormai evidente che ogni livello necessita di una teoria "fondamentale": l'idea di poter spiegare la cellula con la meccanica quantistica si è rivelata priva di senso. La ricerca scientifica procede con la costruzione di modelli che hanno ciascuno un proprio ambito di validità e i propri limiti: il riduzionismo nella sua accezione più forte equivale alla ricerca di un unico modello per l'intero universo, ricerca che da un punto di vista epistemologico moderno [4] sembra assolutamente ingiustificata.
Su questo difficile e controverso punto facciamo un esempio: immaginiamo che il mondo sia una partita di scacchi. Scegliendo quest'esempio stiamo prendendo clamorosamente la parti dei riduzionisti, in quanto consideriamo un gioco in cui ci sono delle regole precise e perfino uno scopo finale (per la gioia dei seguaci di Stephen Hawking). In questo mondo-partita a scacchi i fisici fondamentali saranno contenti di aver scoperto, presumibilmente presto, le leggi base della meccanica: di quante caselle possono muoversi il pedone, il cavallo, ecc. Le leggi fondamentali chiariscono quali sono le cose che non accadranno mai, ma non ci sono molto d'aiuto se vogliamo prevedere la prossima mossa. Salendo di livello, qualcuno studierà come effettivamente si muovono i pezzi: pur essendoci molte mosse non proibite, in una partita di scacchi alcune cose non accadono mai. Siamo al livello della strategia e qui si svilupperà naturalmente una specializzazione: c'è chi studia il comportamento dei cavalli e mostra che per esempio cercano di evitare i lati della scacchiera, chi studia quello del re e si meraviglia di come, a parte l'arrocco, esso resti quasi sempre immobile, chi studia il passato e cerca di ricostruire le mosse dell'apertura (per le quali, probabilmente, troverà "regole" strategiche particolari e diverse da quelle della partita ad uno stadio più avanzato), chi studia l'evento "scambio di regine", ecc. Ogni gruppo avrà una sua teoria ed un suo punto di vista e farà previsioni sul futuro per quanto riguarda l'aspetto studiato. I fisici fondamentali, nel frattempo, incapaci con le loro leggi di far alcuna previsione sull'andamento della partita, staranno cercando con potenti e difficilissimi strumenti matematici di enunciare un'unica legge che contenga il moto dei pedoni, degli alfieri, delle torri, il salto a L dei cavalli, le straordinarie capacità della regina e il movimento a corto raggio del re, l'arrocco e la presa en passant [5].
Non vogliamo che queste parole vengano scambiate per un attacco alla fisica fondamentale: non c'è modo di sapere in anticipo, ed è questo il vero problema in un mondo che ha risorse economiche limitate, cosa uscirà fuori da una ricerca di base. Ci diverte solo prendere in giro ogni tanto i fisici che lavorano alle leggi fondamentali, troppo spesso sentendosi gli unici veri detentori della Verità. Questa verità può rivelarsi inutile perfino in un mondo in cui esiste, come quello della partita di scacchi.
Tornando alla partita di scacchi, un ulteriore salita di livello può portare gli scienziati a chiedersi in base a cosa vengano scelte le mosse. Dalle leggi descrittive si passa alla ricerca di una spiegazione del perché. Di nuovo, in un certo senso, un tentativo riduzionista ma ad un altro livello. Due teorie si sviluppano e sono entrambe convincenti: una sostiene che le mosse sono scelte da una mente associativa che "vede" lo scopo del gioco, un'altra che c'è una macchina priva di intelligenza che prova tutte le mosse possibili fino ad una certa profondità e che giudica la migliore in base a certe regole di preferenza - ed ecco che nascono e fioriscono altre scuole di pensiero su quali esse siano... La seconda teoria sarà probabilmente più predittiva della prima e prevarrà. Con questa metafora volevamo sottolineare che pur ammettendo una natura dotata di regole intrinseche, anche con tutte le leggi a tutti i livelli l'andamento della partita non è mai del tutto prevedibile: esso dipende sempre dall'accidente della singola partita. Naturalmente vedere il mondo reale dotato di regole, o "scritto in linguaggio matematico" (Galileo), è; una presa di posizione molto forte.
Torniamo alla storia del paradigma riduzionista: negli anni Settanta il fisico e premio Nobel Anderson afferma che "Lo studio di nuovi comportamenti a ogni livello di complessità richiede una ricerca altrettanto fondamentale di qualunque altra", mostrando di avere ormai poca fiducia nel successo del riduzionismo. Quest'idea si sviluppa nei decenni successivi: nel suo ultimo libro il fisico italiano Marcello Cini sostiene che "oggi l'ideale riduzionista enunciato da Einstein della formulazione di una teoria generale che spieghi l'intero universo - quella che si usa chiamare 'teoria del tutto' - è rimasto soltanto il miraggio di un ristretto gruppo di fisici teorici impegnati nella costruzione di modelli matematici sempre più astratti e lontani da ogni possibilità di verifica sperimentale" [6]. Nello stesso libro Cini afferma che la fisica non è più rappresentativa della scienza moderna.
Dunque l'ideale riduzionista fallisce e nel frattempo proliferano migliaia di specialismi. Se rinunciamo anche all'idea di una verità ultima da scoprire, accettiamo senza problemi l'idea che diverse comunità abbiano diversi approcci, eventualmente tutti utili, ad uno stesso problema. Che fine ha fatto la ricerca di generalità? Si è semplicemente spostata di livello. La mente umana trova significati e regolarità con facilità estrema e ama le generalizzazioni più di qualunque altra cosa. Eppure ad un certo livello di complessità le generalizzazioni diventano impossibili.
A complicare la situazione ci si mette il fatto che alle comunità di specialisti si sovrappongono le comunità che raggruppano un ideale politico o una particolare visione del mondo. Facciamo un esempio: la ben nota controversia fra scienziati ambientalisti e una certa scuola di pensiero fortemente critica verso il principio di precauzione [7]. OGM, riscaldamento globale, smaltimento dei rifiuti, energia nucleare: sono solo alcuni dei problemi che vedono scontrarsi queste due fazioni. In questo caso ognuna di queste questioni viene a sua volta generalizzata nel paradigma della fazione e l'"oggettività scientifica" (o ciò che resta di essa) rischia di perdersi del tutto. Sarebbe auspicabile andare al di là delle fazioni e imparare a giudicare caso per caso: rimarranno le divergenze ma troveremo molti più scienziati, ad esempio, favorevoli agli OGM ma contrari al nucleare, che ci spiegheranno i loro motivi. Nella complessità, lo ripetiamo, la generalizzazione non è più possibile. Ci pare difficile enunciare un principio di precauzione unico che includa casi tra loro diversissimi, come ci pare assurdo ignorare l'esistenza di problemi ambientali o d'altro tipo (produzione di armi, ecc.) legati direttamente o indirettamente alla ricerca scientifica.
Riprendendo il testo di Poincaré, leggiamo che "via via che la scienza si sviluppa, diventa sempre più difficile averne una visione complessiva; si cerca allora di dividerla in tanti pezzi e di accontentarsi di un pezzo solo; in una parola, ci si specializza. Continuare in questa direzione sarebbe di grave; ostacolo ai progressi della scienza. Sono le connessioni inattese fra diversi domini scientifici che rendono possibili tali progressi. Specializzarsi troppo significa precludersi la possibilità di stabilire tali connessioni". Molti dei timori di Poincaré si sono avverati e sarebbe sbagliato negare che ciò abbia portato una certa dose di delusione. Gli scienziati di oggi, con una visione epistemologica moderna, tendono a rispondere che la scienza ha deluso solo chi coltivava aspettative "sbagliate". Il che è assolutamente vero: un secolo fa questa visione "sbagliata" della scienza era però la visione di gran parte degli scienziati, che stavano ancora interiorizzando il superamento del positivismo ottocentesco. Il matematico francese non sarebbe certo l'unico a inorridire di fronte alla scienza di oggi, infinitamente frammentata e ben lontana dai sogni di armonia di inizio Novecento.
Torniamo alla frase di Mach: "Il ruolo della scienza è di realizzare l'economia del pensiero". Quest'economia ha avuto lo stesso corso dell'economia in senso stretto e anche in questo caso la parola si è trasformata. Nelle caverne l'utensile nasce per economizzare lo sforzo, finché tutto lo sforzo si concentra alla ricerca di nuovi utensili per soddisfare i bisogni e poi alla ricerca di nuovi bisogni da soddisfare per cui costruire poi utensili. L'avidità di denaro ha costruito un'enorme macchina intorno a questo processo. Nella scienza l'economia del pensiero è diventata la ricerca ossessiva di cose nuove su cui fare ricerca: la ricerca della ricerca. C'è chi sosterrà che è sempre stato così, ma la differenza è che oggi la scienza è un mestiere e il meccanismo delle pubblicazioni, dell'avanzamento di carriera, degli enti di ricerca pubblici e privati ha influito profondamente su quella purezza di pensiero che caratterizzava gli scienziati (che erano inoltre in numero estremamente minore) fino a un secolo fa [8]. Siamo nell'era del consumismo della scienza: ci auguriamo che la maggior parte del pensiero scientifico sia ancora mosso, almeno nelle intenzioni, da nobili fini, ma anche in questo campo sta penetrando, inesorabile, l'economia di mercato. E questo può portare a sviluppi imprevedibili ed inquietanti.


Note al testo

[1] Jules-Henri Poincaré, Scienza e metodo, Einaudi 1997. Le citazioni di Poincaré e di Mach successivamente riportate sono tratte da questo testo. <<

[2] Il riduzionismo non va confuso con il determinismo, che afferma che l'intera storia dell'Universo è univocamente determinata fin dal suo primo istante. Poincaré era determinista assoluto come la maggior parte degli scienziati prima della meccanica quantistica. Riduzionismo e determinismo vengono fortemente messi in crisi dalla teoria del caos, che mostra come molti sistemi abbiano una cruciale dipendenza dalle condizioni iniziali, senza conoscere le quali con infinita precisione (il che è; impossibile) non si possono fare previsioni sull'andamento del sistema oltre un certo intervallo di tempo.
Interessante notare che la teoria del caos, che nasce negli anni Sessanta del Novecento, prende spunto da un lavoro dello stesso Poicaré che, nel 1889, aveva notato un comportamento caotico nelle equazioni di Newton, senza tuttavia rendersi conto delle enormi implicazioni dei suoi risultati. <<

[3] Si veda a tale proposito Elena Gagliasso Luoni, Riduzionismi: il metodo e i valori, in Il gene invadente, Baldini Castoldi Dalai 2006. <<

[4] Le proprietà che Poincaré attribuisce alla natura sono le proprietà che il nostro cervello ha sviluppato per entrare in contatto con la natura. Questa natura è quella del mondo alla scala umana, sia per lo spazio che per il tempo. Il nostro modo di pensare, che include principi logici quali identità e non contraddizione e concetti come il principio di causa-effetto, potrebbe trovarsi per esempio in difficoltà nel mondo delle particelle subatomiche, al quale siamo giunti tramite il raffinamento dei nostri strumenti di indagine, o nella descrizione degli istanti successivi al big bang. <<

[5] La metafora della partita a scacchi è stata utilizzata da Richard Feynman in appoggio al punto di vista riduzionista. E' interessante citare le sue parole a questo punto del nostro discorso, che ci ha condotto a conclusioni molto diverse: "Possiamo immaginare che questo complicato apparato di cose in movimento che chiamiamo mondo sia simile a una partita di scacchi giocata dagli dei, di cui noi siamo spettatori. Non conosciamo le regole del gioco; tutto ciò che ci è permesso è guardare la partita. Naturalmente, se guardiamo abbastanza a lungo, alla fine afferreremo alcune regole di base. Le regole del gioco sono ciò che chiamiamo fisica fondamentale" (Richard Feynman, La legge fisica). <<

[6] Marcello Cini, Il supermarket di Prometeo, Codice 2006. Ci preme aggiungere che Einstein altrove sottolinea come la sua teoria della relatività non è che un'approssimazione migliore della realtà e che verrà presto sostituita da una teoria ancora migliore. <<

[7] Il principio di precauzione afferma, in sostanza, che se non si ha certezza scientifica sull'assenza di effetti pericolosi per l'ambiente e per l'uomo di una ricerca è bene prendere provvedimenti in anticipo. I suoi contestatori affermano che la certezza scientifica non esiste mai e che il principio è in sé contraddittorio. <<

[8] Il numero di pubblicazioni è un fattore rilevante per la carriera di uno scienziato. Come l'operaio deve produrre per non venire licenziato, così lo scienziato deve produrre idee per sopravvivere all'interno della comunità. Pubblicare diventa un dovere e le riviste specialistiche, in numero enorme, si riempiono di articoli assolutamente insignificanti. Se alcuni di essi potranno essere in futuro dei mattoncini di un edificio più grande e importante, in gran parte non saranno mai nemmeno letti per reale mancanza di tempo. <<

Grazie a Emanuele Pontecorvo per le discussioni e i preziosi commenti.