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Il gigamondo delle nanoscienze

Martedì 17 febbraio 2009, ore 20,30

Ci sono ma non si vedono: le nanostrutture si trovano in marmitte catalitiche, farmaci, cosmetici... ma di cosa si tratta esattamente?
Tutto ebbe inizio quando, con la nascita dell'elettronica, si cominciò a sentire l'esigenza di costruire oggetti sempre più piccoli. Poco dopo sarebbe nato un campo di ricerca completamente nuovo, quello delle "nanoscienze", che si occupano di strutture piccole addirittura come atomi. Ma come è possibile costruire e manipolare oggetti che è già difficilissimo soltanto vedere?
Ne parleremo con Elisa Molinari, fisica, e Gianfranco Pacchioni, chimico, che ci porteranno i loro punti di vista su un campo di ricerca i cui successi nascono dalla collaborazione fra scienziati provenienti da discipline diverse. Ci racconteranno la storia delle nanoscienze dai pionieri fino alle attuali frontiere della ricerca in questo ambito.
Un viaggio in un sorprendente mondo pieno di grandi - e piccole - sorprese.

Elisa Molinari

Laureata in Fisica a Modena, ha lavorato a Stoccarda, Grenoble e Roma. Attualmente è Ordinaria di Fisica della Materia all'Università di Modena e Reggio Emilia, e dal 2006 è responsabile dell'Istituto Nazionale per la Fisica della Materia del CNR.
A Modena dirige anche, fin dalla sua fondazione nel 2001, il Centro S3 "nanoStructures and bioSystems at Surfaces". Fa parte del Comitato di Programma NMP ("Nanotechnology, Materials and Production Processes") dell'Unione Europea e del "Working Group on Nanotechnology" dell'OCSE. È Fellow della American Physical Society.
La sua ricerca recente si concentra sulle proprietà fondamentali e le applicazioni a lungo termine di nanosistemi e nanobiodispositivi, e sullo sviluppo di metodi per la loro simulazione quantistica.
Negli ultimi anni si è anche occupata di comunicazione scientifica con il pubblico sul tema delle nanoscienze e particolarmente sul ruolo delle immagini, sviluppando un progetto e un libro intitolati "Blow-up. Images of the nanoworld": la mostra che ne fa parte è stata esposta in diverse sedi italiane e internazionali.

Gianfranco Pacchioni

Laureato in Chimica a Milano, ha poi lavorato a Berlino, Monaco, Barcellona, Parigi e in California. Attualmente è Ordinario di Chimica dello Stato Solido e Direttore del Dipartimento di Scienza dei Materiali dell'Università Milano Bicocca.
Si è occupato di teoria quantistica della materia, struttura elettronica di ossidi inorganici e loro superfici, cluster metallici (aggregati di pochi atomi) e nanoparticelle al fine di progettare materiali dotati di proprietà innovative.
Ha ricevuto la medaglia "R. Nasini" della Società Chimica Italiana (1994), il Premio Nazionale Federchimica (1996), e l'Humboldt Research Award (2005) per le sue ricerche di tipo teorico su cluster, superfici e materiali inorganici nanostrutturati.
Recentemente ha pubblicato per Zanichelli due volumi di divulgazione scientifica: "Idee per diventare scienziato dei materiali: dall'invenzione della carta alle nanotecnologie" (2006) e "Quanto è piccolo il mondo: sorprese e speranze dalle nanotecnologie" (2008).


Letture

da Primo Levi, "Pieno Impiego", in "Storie Naturali"

[...]
- Guardi cosa c'è qui dentro -
Mi porse una minuscola scatola di cartone, non più grossa di un ditale. La apersi.
- Qui dentro non c'è niente! -
- Quasi niente - fece Simpson. Mi diede una lente: sul fondo bianco della scatola vidi un filamento, più sottile di un capello, lungo forse un centimetro; verso la metà si distingueva un leggero ingrossamento.
- E' un resistore - disse Simpson: - il filo è da due millesimi, la giunzione è da cinque, e il tutto costa quattromila lire, ma presto ne costerà duecento.
Questo pezzo è il primo che è stato montato dalle mie formiche: dalle rufe dei pini, le più robuste ed abili. Ho insegnato in estate a una squadra di dieci, e loro hanno fatto scuola a tutte le altre. Dovrebbe vederle, è uno spettacolo unico: due afferrano i due elettrodi con le mandibole, una li attorciglia di tre giri e li fissa con una gocciolina di resina, poi tutte e tre depongono il pezzo sul trasportatore. In tre, montano un resistore in 14 secondi, compresi i tempi morti, e lavorano 20 ore su 24.
Ne è nato un problema sindacale, si capisce, ma queste cose si accomodano sempre; loro sono soddisfatte, su questo non c'è dubbio.
Ricevono una retribuzione in natura, suddivisa in due partite: una per così dire personale, che le formiche consumano nelle pause del lavoro, e l'altra collettiva, destinata alle scorte del formicaio, che esse immagazzinano nelle tasche ventrali; in tutto, 15 grammi al giorno per l'intera squadra di lavoro, che è composta di 500 operaie. E' il triplo di quanto potevano raggranellare in un giorno di raccolta qui nel bosco. Ma questo è solo un inizio. Sto allenando altre squadre per altri lavori "impossibili". Una a tracciare il reticolo di diffrazione di uno spettrometro, mille righe in 8 millimetri; una a riparare circuiti stampati miniaturizzati, che finora una volta guasti si buttavano via, una a ritoccare negative fotografiche; quattro a svolgere lavori ausiliari nella chirurgia del cervello, e già fin d'ora le posso dire che si dimostrano insostituibili nell'arrestare le emorragie dei capillari. Basta pensarci un momento, e subito vengono in mente lavori che richiedono spese di energia minime, ma non si possono eseguire economicamente perché le nostre dita sono troppo grosse e lente, perché un micromanipolatore è troppo costoso, o perché comportano operazioni troppo numerose su un'area troppo vasta.Ho già preso contatti con una stazione sperimentale agraria per vari esperimenti appassionanti: vorrei allenare un formicaio a distribuire fertilizzanti "a dimora", voglio dire, un granello per ogni seme; un altro formicaio, a bonificare le risaie, asportando le erbe infestanti quando sono ancora in germe; un altro, a mondare i silos; e un altro ancora, a eseguire i microinnesti cellulari...
[...]



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