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Macchine e idee

Martedì 17 novembre 2009, ore 20,30

Per millenni le attività tecniche si sono svolte indipendentemente da quella che oggi chiamiamo "scienza": invenzioni come la ruota, la vite o il timone sono state fatte e perfezionate senza alcun tipo di concettualizzazione teorica.
Ma anche in tempi più moderni non è sempre la scienza che precede la tecnologia: la termodinamica, l'elettromagnetismo, la robotica, sono esempi di come il rapporto tra scienza e tecnica sia particolarmente complesso.
Oggi la tecnologia, in particolare quella legata all'elaborazione e alla trasmissione dell'informazione, invade la nostra vita quotidiana: quanto è ancora legata al sapere scientifico "tradizionale"? Quanto la scienza si lascia guidare dalla tecnologia e viceversa? Perché alcuni autori hanno proposto l'uso del termine "bricolage" per indicare sia i processi sia i prodotti della nuova tecnologia? Qual è il futuro di scienza e tecnologia?

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Salvo D'Agostino

Già docente di fisica e storia della fisica al Dipartimento di Fisica dell'Università di Roma "La Sapienza", è stato ospite presso diverse università degli Stati Uniti e assegnatario di una borsa di ricerca presso l'Università di Cambridge.
Attualmente si occupa di storia della fisica teorica e delle teorie quantistiche. È stato tra i fondatori del Gruppo Italiano degli Storici della Fisica e fa parte del consiglio scientifico delle riviste Physis e Nuova Civiltà delle Macchine. È membro onorario del consiglio scientifico dell'Associazione degli Storici della Fisica e dell'Astronomia.

Giuseppe O. Longo

Ordinario di Teoria dell'informazione nella Facoltà d'Ingegneria dell'Università di Trieste, si occupa di codifica di sorgente e di codici algebrici.
Ha diretto il settore "Linguaggi" del Laboratorio della "International School for Advanced Studies" (Sissa) di Trieste e il Dipartimento di Informazione del "Centre Internationale des Sciences Mécaniques" (Cism) di Udine. Socio di vari Istituti e Accademie, s'interessa di epistemologia, di intelligenza artificiale e del rapporto uomo-tecnologia. È traduttore, collabora con il Corriere della Sera, con Avvenire e con numerose riviste. È autore di romanzi, racconti e opere teatrali tradotti in molte lingue.


Letture

da Claude Levi-Strauss (1908-2009), Il pensiero selvaggio

Il fatto che l'origine della scienza moderna risalga soltanto a qualche secolo fa pone un problema al quale gli etnologi non hanno riflettuto abbastanza; si potrebbe parlare di "paradosso neolitico".
[...]
Proprio nel neolitico si conferma la maestria raggiunta dall'uomo nelle grandi arti della civiltà: la fabbricazione di terraglie, la tessitura, l'agricoltura, l'addomesticamento degli animali.
Oggi, più nessuno si sognerebbe di spiegare queste immense conquiste con il fortuito accumularsi di una serie di scoperte dipendenti dal caso o rivelate dall'osservazione passiva di certi fenomeni naturali.
Ognuna di queste tecniche presuppone secoli e secoli di attenzione metodica, e di formulazione di ipotesi ardite, confermate attraverso esperimenti infaticabilmente ripetuti.
[...]
I miti e i riti [...] hanno il grandissimo merito di preservare fino a noi i residui dei metodi di osservazione e di riflessione che furono (e sicuramente restano) esattamente adeguati a un certo tipo di scoperte: a quelle, cioè, che la natura ha permesso, a cominciare dall'organizzazione speculativa e dello sfruttamento del mondo sensibile in termini appropriati.
Proprio per sua essenza, questa scienza del concreto doveva limitarsi a risultati diversi da quelli che avrebbero ottenuto le scienze esatte, ma non per questo essa fu meno scientifica né i suoi risultati meno genuini. Essi furono conquistati diecimila anni prima degli altri e rimangono ancora il sostrato della nostra civiltà.
[...]
Esiste ancora fra noi una forma di attività che, sul piano tecnico, ci consente di renderci conto abbastanza bene di quelle che possano essere state, sul piano speculativo, le caratteristiche di una scienza che preferiamo chiamare "primaria" anziché primitiva: questa forma è di solito designata col termine bricolage.
Il bricoleur è capace di eseguire un gran numero di compiti differenziati, ma - al contrario dell'ingegnere - non li subordina alla disponibilità di materie prime e di attrezzi concepiti e resi epressamente disponibili per la realizzazione del progetto: il suo universo di strumenti è limitato, e per lui la regola del gioco consiste nell'adattarsi sempre a quanto ha a portata di mano, cioè a un insieme di arnesi e di materiali sempre limitato ed eterogeneo.

da Sadi Carnot (1796-1832): La potenza del fuoco

Come ognun sa, il calore, in quanto causa del movimento, racchiude una enorme potenza motrice: le macchine a vapore, oggi così diffuse, ne sono una prova evidente agli occhi di tutti.
Dal calore dipendono tutti i grandi movimenti su cui si appuntano i nostri sguardi: le turbolenze atmosferiche, l'ascensione delle nuvole, la caduta delle piogge e delle altre meteore, le correnti d'acqua che solcano la superficie del globo e di cui l'uomo è riuscito a impiegare per suo uso solo una parte esigua, le vibrazioni della terra e le eruzioni vulcaniche.
Da questo immenso serbatoio noi possiamo attingere la forza motrice necessaria ai nostri bisogni: la natura, offrendoci da ogni parte il combustibile, ci ha dato la facoltà di generare sempre e ovunque il calore da cui deriva la potenza motrice. Lo scopo delle macchine a fuoco è quello di sviluppare questa potenza e di renderla disponibile per i nostri usi.
Lo studio di queste macchine è di estremo interesse, la loro importanza immensa, il loro impiego in crescita continua. Esse sembrano destinate a produrre una grande rivoluzione nel mondo civile. [...]
La scoperta delle macchine a fuoco trae origine, come la maggior parte delle invenzioni umane, da tentativi più o meno confusi, la cui paternità, per mancanza di informazioni, rimane spesso indefinita e magari ascritta a persone diverse. Del resto la scoperta principale non risiede tanto in questi tentativi iniziali, quanto nei perfezionamenti successivi che hanno condotto le macchine a fuoco allo stadio in cui le vediamo oggi. La distanza tra i primi apparecchi in cui si è sviluppata la forza di espansione del vapore e gli attuali è all'incirca la stessa che separa la prima zattera costruita dall'uomo dai vascelli d'alto bordo.
Se l'onore di una scoperta spetta alla nazione che ne ha assicurato il pieno progresso e sviluppo, allora questo onore non può che essere tributato all'Inghilterra: Savery, Newcomen, Smeaton, il celebre Watt, Woolf, Trevithick e qualche altro ingegnere inglese sono i veri creatori della macchina a fuoco, la quale, grazie a loro, ha conosciuto tutti i suoi successivi livelli di perfezionamento. È naturale, del resto, che un'invenzione nasca, e soprattutto si sviluppi e si perfezioni, là dove se ne sente più imperioso il bisogno.
Malgrado le attività di ogni tipo incentrate sulla macchina a fuoco, malgrado il soddisfacente livello di perfezionamento da esse oggi raggiunto, la loro teoria è assai poco avanzata, e i tentativi per migliorarle sono ancora in gran parte condotti a caso.
È stata spesso sollevata la questione se la potenza motrice del calore sia limitata, o infinita; se i possibili perfezionamenti delle macchine a fuoco abbiano un termine prevedibile, reso in qualche modo fisso dalla natura delle cose, o se al contrario siano suscettibili di infinita estensione. Si è così cercato a lungo, e si cerca ancora oggi, se non esista un agente preferibile al vapore acqueo come mezzo per sviluppare il vapore motore del fuoco; se l'aria, per esempio, non presenti, a questo riguardo, grandi vantaggi. Ci proponiamo qui di sottoporre questo problema a un ponderato esame.


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